Il colore viola

Il colore viola è un libro difficile. Da ogni punto di vista. Nella prima dozzina di pagine, Celie, 14 anni, ci racconta in un linguaggio stentato, nel suo inglese illetterato, di come sua madre sia caduta in depressione e quello che crede sia suo padre l’abbia scelta per continuare a procreare. Non ancora 15enne, Celie ha due figli, che le vengono portati via, e sarà costretta a sposarsi con Mr —, alla ricerca di qualcuno che possa badare alla casa e alla sua prole indisciplinata. Tutto questo nell’America di inizio Novecento, ancora segnata dalla barbarie della segregazione razziale. Perché Celie, Albert, sua sorella Nettie, sono tutti di colore e la lotta per la sopravvivenza diventa una guerra tra miseri.

Alice Walker, l’autrice, raccoglie in una corrispondenza immaginaria le lettere di Celie spedite alla sorella Nettie, da cui è costretta a separarsi. Le lettere che Celie scrive a Dio, unico appiglio, interlocutore privilegiato della sua grama esistenza, spesa tra la cucina e i campi. Nettie, la sorella più fortunata di Celie, riesce invece a studiare, a trovare la sua strada, da missionaria e insegnante in Africa, e solo dopo tanti anni riuscirà a riabbracciare Celie, ormai cresciuta, indipendente, libera, grazie all’intervento fortuito di Shug Avery che restituisce a una donna sepolta la voglia di vivere e il coraggio di parlare per sé.

scrittrici

Non è solo in virtù del club letterario di Emma Watson se ultimamente mi ritrovo a leggere quasi esclusivamente autrici donne. In un periodo in cui sono tornata a fare tante cose per la prima volta, all’inizio di uno dei viaggi più difficili della mia esistenza, fatto di pomeriggi solitari e capovolgimenti emotivi, come diceva il buon vecchio giovane Holden, a volte mi piacerebbe avere il numero di telefono di una delle mie autrici preferite e poterla chiamare per una chiacchierata. Elena Ferrante, Goliarda Sapienza, Elsa Morante, Alice Walker, Guadalupe Nettel, Jhumpa Lahiri, Gloria Steinem, a tutte avrei voluto fare una domanda, a ognuna di loro avrei voluto confessare un segreto o semplicemente ascoltarle, come se leggessero ad alta voce una pagina dei loro libri.

Elena Greco, la protagonista e la narratrice della tetralogia di Elena Ferrante, in una Napoli claustrofobica si ritaglia una sua dimensione personale, un proprio percorso individuale, iniziando a frequentare la biblioteca di quartiere, trovando una via d’uscita dal tunnel di meschinità a cui la costringe il suo compagno, Nino Sarratore. La stessa Lila, il suo opposto, la sua migliore amica, che resta almeno in apparenza intrappolata nei meccanismi del terribile rione, trova un agognato isolamento e una sua realizzazione attraverso lo studio, ossessivo, delle parole, dei linguaggi, delle emozioni. Modesta, personaggio indimenticabile del libro di Goliarda Sapienza, L’arte della gioia, trova nello studio la chiave per dare vita alla sua personalità. E il suo non è un semplice studio nozionistico, ma la necessità di studiare se stessa, comprendere le emozioni e i sentimenti, suoi e altrui, un po’ come chiedersi: “quando diciamo ‘ti capisco’ agli altri, lo pensiamo davvero?”.

Elisa e Anna, due personaggi di Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, si ritrovano in fondo al baratro di pomeriggi senza fine, che gocciolano lentamente guardando il soffitto, dietro gli scuri abbassati, nei palazzi immobili di una Palermo senza tempo. Al contrario delle sue eroine, la Morante aveva trovato il modo di sfuggire all’indolenza esistenziale, all’apatia delle sue eclissi improvvise, nel salotto immerso nei libri, mentre scriveva con il suo gatto nero acciambellato sulla scrivania.

L’anno scorso, in un periodo di smarrimento emotivo, di precarietà occupazionale, mi sono rifugiata nei libri. Ho passato interi pomeriggi a perdermi tra i traslochi di Mama Tandoori, le cene di Maria Perosino, le sigarette di Ribeyro fumate dall’alto del suo balcone parigino, le strade blu americane. E quest’anno, durante i lunghi mesi di stasi fisiologica, ho ritrovato il mio vecchio rifugio, tra l’accento napoletano di Elena Ferrante, le camere odoranti di cipria di Elsa Morante, scrittori, vecchi e nuovi, che hanno segnato lo scorrere dei mesi, dei giorni grigi e un po’ tutti uguali. Pagina dopo pagina, è come se avessi escogitato un rimedio all’impotenza di certe giornate. Come se la strada per la liberazione personale passasse necessariamente da un libro, dalla curiosità, da una lettura rivelatrice, da un desiderio di completezza, più forte di tutti i Nino Sarratore, letterali o metaforici, presenti nel mio universo quotidiano.

A volte mi illudo di aver trovato un antidoto personale al buio interiore, un’arma contro i mulini a vento, al silenzio vile dell’orizzonte che mi circonda. Una stanza, come diritto e necessità, una libreria a portata di mano, la tessera di una biblioteca, qualche ora di silenzio. E poi, ogni tanto, ricordarsi di guardare fuori dalla finestra, per sopravvivere “alla razza umana”. Pensare, come diceva Celie, “ai fiori, al vento, all’acqua, a un grosso sasso”, a un animale e non smettere di meravigliarsi. Ché, se esiste un Dio, “io credo che Dio si incazzi se tu, di fronte al colore viola di un campo di fiori, neanche te ne accorgi”.

Soundtrack: Miss Celie’s Blues 

Questo post appartiene alla serie di scritti ispirati ai consigli di lettura del club letterario Our Shared Shelf di Emma Watson. Qui la prima puntata. 

2 pensieri su “Il colore viola

  1. Ilaria Moretti ha detto:

    Carissima V., anche a me Elena (Ferrante) ha fatto infinita compagnia. E’ stata più che una compagna una confidente muta, la scatola di parole da aprire in sordina la domenca pomeriggio, quando il cielo è bianco e la gola è senza suoni. Elena ha detto per noi ciò che non siamo stati in grado di formulare a parole e di questo, di questa verità acre, cattiva, eppure vera, gliene sarò infinitamente grata. Come stai? Come va il tuo stato “fisiologico”? Sai che non ho mai letto Goliarda Sapienza? Mi ci butto appena torno in Italia. E tu? Come cambiano i tuoi cieli, i tuoi pensieri? Parigi è sempre Parigi? Ti abbraccio, ti abbraccio e spero che tu, un tappo momentaneo a das-ding, l’abbia trovato. Ma credo di sì.

  2. Valeria ha detto:

    Cara Ilaria,
    non sono riuscita a staccarmi dai libri della Ferrante, da quel suo modo così semplice di rivelare verità talmente evidenti e brutali da passare inosservate. E anche io ho provato una vera e propria gratitudine, per essermi stata amica per tanti mesi. Goliarda Sapienza è arrivata sul mio comodino per una serie di circostanze fortuite ed è stata una bellissima scoperta, una ventata di freschezza quasi. Qui tutto procede. L’attività fisica diminuisce, quella interiore aumenta in proporzione. Intanto, aspetto un primo accenno di primavera qui a Parigi, dove il tempo è ancora autunnale, per andare a stupirmi anche io dei colori. Ti abbraccio forte. V.

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